Il rilievo in terracotta, monumentale nonostante le dimensioni contenute, era stato in passato attribuito a diversi artisti, come Jacopo della Quercia, Lorenzo Ghiberti o il suo collaboratore Michele da Firenze, ma anche al giovane Brunelleschi. La più recente assegnazione alla prima fase di Donatello è però confermata dall’altissima qualità e originalità dell’opera, modellata fra 1415 e 1420 dall’artista, che a Prato un decennio più tardi (1430-1438) avrebbe lavorato al celeberrimo pulpito esterno della Cattedrale, destinato all’ostensione della Sacra Cintola.
Il tabernacolo propone una complessa e aggiornatissima architettura a edicola classica, vicina a altri esempi donatelliani (come il tabernacolo di Parte Guelfa in Orsanmichele a Firenze) e ghibertiani. Le figure emergono dinamicamente dal prezioso fondale, rese palpitanti dalla rapidità e maestria del modellato che suggerisce, ad esempio, gli scattanti volumi degli angeli dai mossi panneggi, disposti quasi fossero agili quinte teatrali ai lati del maestoso gruppo centrale. Pochi gesti contenuti, accenni di sguardi, svelano l’intimo rapporto tra la madre e il figlio che, nudo, posa la mano sul seno: “Beato il grembo che ti ha portato, e il seno che ti ha allattato” (Lc 11, 27) sembrano annuire anche i profeti che emergono dai pennacchi dell’arco, descritti dall’artista con pochi e rapidi colpi di stecca.
Secondo la critica recente quest’opera rappresenta il punto di partenza per le architetture ispirate all’antica Roma entro le quali Donatello ambienterà tutte le proprie storie. I forti richiami all’antichità classica sono evidenti nella nicchia ricavata fra le due colonne scanalate coronate dai capitelli fogliati e sovrastate da un architrave ritmato da ovuli e dentelli, ma anche nella resa dei morbidi panneggi quasi trasparenti degli angeli, che richiamano le raffigurazioni dei geni alati dei sarcofagi ellenistici.