Il tema dell’adorazione del Bambino fu riproposto variamente da Filippo Lippi in forme non dissimili, anche se qui l’artista realizza una composizione serrata, col gruppo dei personaggi principali tutto raccolto in primo piano che si staglia sull’aspro e omogeneo paesaggio roccioso e incombente, dove si svolge l’annuncio ai pastori. La disposizione di san Giorgio, Maria, san Giuseppe e san Vincenzo Ferrer forma una sorta di piramide rovesciata, col vertice nel Bambino, a sottolineare il centro della composizione.
L’opera non è completamente autografa di Filippo Lippi: se è ben riconoscibile la sua mano nella maggior parte del dipinto, per il san Giorgio, abbigliato con una preziosa armatura ma in posa decisamente rigida, e per la corona di angioletti nella parte superiore è stato avanzato il nome del suo allievo e collaboratore Fra’ Diamante. L’intervento della bottega non toglie comunque efficacia alla composizione, che mostra le alte qualità di Lippi nell’animato san Vincenzo Ferrer (canonizzato nel 1455), nell’incantato san Giuseppe e nel delicatissimo profilo della Vergine Maria, ispirato probabilmente dall’amata Lucrezia Buti, come mostrano le somiglianze con la santa Margherita della pala con la Madonna della Cintola qui esposta.
È Giorgio Vasari, il più noto biografo di artisti del Cinquecento, a testimoniare che almeno dal 1568 questa tavola dipinta ornava un altare della chiesa di San Domenico. Proprio qui un secolo più tardi (1647) ebbe luogo un incendio provocato da un fulmine, che distrusse il tetto a capriate e danneggiò fortemente gli altari laterali: la Natività subì molti danni specialmente nelle alterazioni di colore. Nel XIX secolo l’opera fu costretta a lasciare Prato, quando nel 1810 le truppe napoleoniche la requisirono e portarono in Francia, e soltanto sette anni dopo poté fare ritorno in San Domenico. Qualche decennio più tardi il dipinto passò nelle collezioni del Comune e venne esposto all’interno della Galleria Comunale.