Il dipinto è una replica in piccolo formato della figura centrale della cosiddetta Pala Valori, un Crocifisso tra la Vergine e san Francesco che Filippino Lippi aveva realizzato nel 1498-1500 per la chiesa di San Procolo a Firenze, purtroppo andato distrutto nel 1945. L’opera era stata commissionata da Niccolò Valori, esponente di una famiglia i cui membri erano ferventi seguaci di Savonarola, proprio per la cappella fondata da suo zio Francesco, che era stato ucciso mentre tentava di difendere dalla cattura fra Girolamo, poi giustiziato nel 1498.
Evidentemente anche questa piccola tavola dipinta fu richiesta a Filippino per la devozione privata di un seguace di Savonarola, secondo il quale per raggiungere la salvezza attraverso il sangue di Cristo occorreva pentirsi, accettare con fede pura il mistero della croce e meditare sull’ineluttabilità della morte. Ecco quindi come l’artista, adattando il proprio stile, si sofferma su pochi, ma vitali dettagli su cui l’attenzione dell’osservatore è costretta a focalizzarsi: il sangue di Cristo cola copiosamente dalle ferite del costato, dalle mani e dalla fronte imbevendo la croce fino a vivificare la Terra. Nessun elemento decorativo turba l’essenzialità della composizione, appena ravvivata da pochi tratti in oro sull’aureola, sulla scritta “INRI” e sul panneggio.
Sebbene sia molto diverso dall’impostazione delle opere di Filippino, anche quelle qui esposte, il Crocifisso rivela la mano dell’artista in molti particolari virtuosistici, come nella resa anatomica con sottili variazioni cromatiche sul pallore esangue del corpo, nella minuta descrizione della capigliatura che ricade sulla spalla o dei piedi inchiodati, con vigore, alla croce. Mancano, invece, di naturalismo gli avambracci di Cristo, che sembrano avere l’aspetto di stracci strizzati: forse un tentativo, da parte di Filippino, di sottolineare ed enfatizzare la sofferenza di Gesù sulla croce.