La pala dalla forma centinata fu commissionata dagli otto priori di Prato a Filippino Lippi quando era all’apice di una fortunata carriera tra Roma e Firenze, dove sarebbe morto improvvisamente due anni dopo, rimpianto da tutti. Proprio perché il dipinto doveva ornare l'Udienza nuova del Palazzo Comunale nel suo basamento troviamo un’iscrizione il cui messaggio è un’esortazione della Vergine agli amministratori a esercitare la giustizia e aiutare i poveri.
La tavola evidenzia una sensibilità quasi leonardesca: la scena austera ed essenziale, senza riferimenti all’antiquaria o alle “bizzarrie” lodate dal Vasari, è però ravvivata dal raffinato cromatismo dei ricchi panneggi, brillanti di preziose lacche rosse. In un sottile gioco psicologico, tra le figure si instaura un silenzioso colloquio di sguardi: il Bambino si protende verso un Giovanni Battista scarno e arruffato, che lo indica come “agnello di Dio”, osservato dalla Madre. Il volto esangue di Maria, segnato da una struggente malinconia, si ripete quasi identico nel giovane Stefano, patrono della città. Nella resa delle figure si evidenzia un’accentuazione espressiva e tesa, che prelude alle novità cinquecentesche; i personaggi, intimamente raccolti in primo piano, sono immersi in un’atmosfera livida, quasi temporalesca, che rende netti e intensi i colori e accentua le ombre. Anche il paesaggio ricco di rovine sembra partecipare a questo clima drammatico, con richiami alla religiosità savonaroliana all'epoca ben radicata in Prato, e al senso di insicurezza e di paura tipici del periodo. È chiaro che in questo caso Filippino scelse di ambientare la sacra conversazione in un’atmosfera idealizzata, permeata dalla luce divina, perché se avesse voluto rappresentare il paesaggio locale ne avrebbe avuto tutte le capacità: l’artista, nonostante il suo successo, mantenne costanti rapporti con Prato, dove possedeva anche diverse proprietà immobiliari.