Cristo crocifisso Questo dipinto di dimensioni ridotte, ovvero di circa 31 per 23 centimetri, conclude, come un prezioso gioiello, la sezione su Filippino Lippi. Si tratta di un’opera suggestiva della maturità del grande pittore pratese, caratterizzata dall’influsso della predicazione di Girolamo Savonarola, il noto frate domenicano del convento di San Marco a Firenze. La tavola, infatti, propone una meditazione sul mistero della morte e della redenzione attraverso la contemplazione del corpo e del sangue di Cristo crocifisso. Il corpo pallido si staglia su uno sfondo completamente nero. Il sangue cola copiosamente dalle ferite del costato, dalle mani e dalla fronte imbevendo la croce fino a vivificare la Terra. Nessun elemento decorativo turba l’essenzialità della composizione, appena ravvivata da pochi tratti in oro sull’aureola, sulla scritta “INRI” della croce e sul panneggio attorno alla vita. Sebbene sia molto diverso dall’impostazione delle opere di Filippino, anche quelle qui esposte, il Crocifisso rivela la mano dell’artista in molti particolari virtuosistici, come nella resa anatomica con sottili variazioni cromatiche sul pallore esangue del corpo, nella minuta descrizione della capigliatura che ricade sulla spalla o dei piedi inchiodati, con vigore, alla croce. Mancano, invece, di naturalismo gli avambracci di Cristo, che sembrano avere l’aspetto di stracci strizzati: forse un tentativo, da parte di Filippino, di sottolineare ed enfatizzare la sofferenza di Gesù sulla croce. Il dipinto, acquistato nel 2010 a New York dal Comune di Prato, è una replica in piccolo formato della figura centrale della cosiddetta Pala Valori, un Crocifisso tra la Vergine e san Francesco che Filippino Lippi aveva realizzato nel 1498-1500 per la chiesa di San Procolo a Firenze, purtroppo andato distrutto nel 1945. L’opera era stata commissionata da Niccolò Valori, esponente di una famiglia i cui membri erano ferventi seguaci di Savonarola, proprio per la cappella fondata da suo zio Francesco, che era stato ucciso mentre tentava di difendere dalla cattura fra Girolamo, poi giustiziato nel 1498. Evidentemente, anche questa piccola tavola dipinta fu richiesta a Filippino per la devozione privata di un seguace di Savonarola, secondo il quale per raggiungere la salvezza attraverso il sangue di Cristo occorreva pentirsi, accettare con fede pura il mistero della croce e meditare sull’ineluttabilità della morte.