Filippo Lippi dal 1452 aveva avuto l’incarico di dipingere gli affreschi con le Storie di Santo Stefano e di San Giovanni Battista nella cappella maggiore del Duomo di Prato, che era sotto il patronato del “Ceppo dei Poveri”, e a quello stesso periodo risale la commissione di questo dipinto da parte dell’istituzione benefica fondata dal famoso mercante pratese Francesco di Marco Datini.
Con questa pala l’artista elabora una macchina commemorativa dall’intonazione volutamente arcaica, a ricordare le Maestà del XIV secolo, con un preciso ordine gerarchico: davanti ad una imponente Madonna in trono, malinconica e accompagnata dai santi patroni di Prato e Firenze (i santi Stefano e Giovanni Battista) è inginocchiato Francesco Datini, riconoscibile dal consueto abito rosso (il lucco). Le sue dimensioni sono minori rispetto ai personaggi sacri, ma non quanto quelle dei quattro amministratori dell’istituzione, che Lippi raffigura speranzosi di farsi raccomandare verso la Vergine dall’illustre mercante e benefattore.
Fino alla prima metà dell’Ottocento il dipinto rimase collocato in posizione riparata ma all’esterno, sopra un pozzo, situazione che provocò irrimediabili compromissioni del suo stato conservativo, in particolare alterazioni di colore della pellicola pittorica. A seguito di attenti restauri è stato comunque possibile recuperare brani di estremo rilievo stilistico, ad esempio il diffuso splendore del fondo oro e l’importanza data alle stoffe degli abiti, eleganti e severi allo stesso tempo, richiamando i dettami della moda fiamminga. Nell’opera sono oltretutto presenti i minuti e preziosi ritratti “dal vero” dei quattro piccoli oranti, che in quanto committenti hanno voluto lasciare testimonianza di sé, con una certa falsa modestia - dote squisitamente rinascimentale.