Le opere di Jacques Lipchitz sono esposte nei maggiori musei del mondo, ma in Italia è il Museo di Palazzo Pretorio a possedere l’insieme più considerevole delle sue opere. La storia della donazione ebbe inizio nel 1974, pochi mesi dopo la morte dell’artista, quando la vedova Yulla Lipchitz venne a Prato con Henry Moore per assistere all’inaugurazione della sua scultura Forma squadrata con taglio collocata in piazza San Marco. Yulla rimase molto colpita dall’interesse per l’arte dimostrato dalla città e ipotizzò la possibilità di donarle una parte della gipsoteca del marito. Tale proposito si è concretizzato nel 2011 grazie al collezionista pratese Giuliano Gori e allo storico dell’arte Kosme de Baranano, che hanno contribuito ad allacciare i rapporti tra Comune di Prato e Fondazione Lipchitz nella persona di Hanno D. Mott, figlio di Yulla.
All’interno di questo corpus antologico ed esauriente che ripercorre l’intera carriera dello scultore, dagli anni Dieci fino agli anni Settanta, una delle opere più sorprendenti è il gesso Arlecchino con Mandolino. Questa scultura cubista ben riporta l’influsso dei colleghi Pablo Picasso, Georges Braques e Juan Gris, con cui Lipchitz aveva anche collaborato nel 1917, nel passaggio dalla scoperta dell’arte primitiva alla pura stilizzazione formale. Il personaggio di Arlecchino è restituito in una versione anatomica molto semplificata, della sua maschera sono riconoscibili i rombi graffiti sulla superficie di una spalla e di un fianco, mentre il mandolino è ben evidente al centro della composizione. Centrale, del resto, fu per Lipchitz anche l’interesse per la musica, come testimoniano molti suoi lavori dedicati agli strumenti musicali, uno dei quali è qui esposto.