Arrigo del Rigo era parte del gruppo di artisti passato sotto il nome di “Scuola di Prato”, giovani accomunati da vari elementi quali l’estrazione popolare, il convinto antifascismo e l’aspirazione verso un’arte viva, moderna ma fondata sulla tradizione. La loro formazione non fu però la stessa, e se la maggior parte frequentò la pratese Scuola di arti e mestieri Leonardo, Arrigo Del Rigo invece studiò a Firenze all’Istituto d’arte di Porta Romana. Nei brevissimi 24 anni della sua esistenza, che si concluse tragicamente con un presunto suicidio mascherato da incidente fatale, egli riuscì a porre le basi per un’arte consapevole e matura.
Le sue opere evidenziano due diversi registri nell’interpretazione della realtà: uno più realistico e lirico, adottato nei paesaggi, con una sensibilità che sembra avvicinarlo a Camille Corot, e uno più plastico e sintetico, apparentemente più arcaico, specialmente nei ritratti, che lo porta a interiorizzare l’immagine e a filtrare la realtà attraverso il ricordo e il sentimento, per poi restituirla in forme anticlassiche, sintetiche e popolari.
Nel 1927, l’anno dell’incontro con Soffici e dell’inizio della collaborazione con la rivista “Il Selvaggio”, egli dipinse questo Autoritratto, dal saldo impianto compositivo, che attinge ai primitivi toscani e al primo Rinascimento, traendo ispirazione dall’arte da Giotto a Masaccio, ma mostra anche influssi di Cézanne e Carrà. Nel solido volto, con occhi dal taglio allungato, fissi in un’espressione concentrata e decisa, la suddivisione della luce scandisce i vari piani, in un estremo, sintetico rigore geometrico.