Lorenzo Bartolini, nato a Savignano di Prato, impresse una svolta fondamentale alla propria carriera quando a Parigi (1799-1808) studiò presso l’atelier del più influente artista del neoclassicismo, Jacques-Louis David, stringendo anche una forte amicizia col pittore Jean-Auguste-Dominique Ingres. Questi, affascinato dall’arte italiana e in particolare dalla pittura fiorentina del XV secolo, fu poi ospite di Bartolini dopo il suo rientro a Firenze, ed insieme condivisero l’ammirazione per l’arte rinascimentale e per la naturalezza studiata dal vero. Di questo interesse è testimone appunto la Fiducia in Dio, che con la spontaneità dei gesti e delle espressioni fa anche tesoro di modelli di Andrea del Verrocchio e di Desiderio da Settignano.
La natura come fonte inesauribile da imitare, piuttosto che da idealizzare, si manifesta nella distesa intensità di una donna che rivolge il suo animo a Dio in un gesto di pia devozione, mentre le mani si rilasciano in una pacata e silenziosa preghiera. Il corpo, svelato nel candore della nudità, viene definito da una linea morbida e fluente, che asseconda un bisognoso abbandono al cospetto della presenza irradiata dal cielo. Fu una bellezza dettata dal “vero” e dall’osservazione di un atteggiamento “naturale”, come racconta il letterato Pietro Giordani, secondo cui Bartolini venne ispirato dalla singolare posa di una modella che stava riposando durante la realizzazione della Ninfa Oceanina detta “l’Arnina”. La Fiducia in Dio, scultura in cui convivono armonia, semplicità e una particolare intensità, è un manifesto di bellezza intesa non soltanto quale attributo fisico, ma anche come virtù morale e spirituale.
Il gesso, giunto a Prato nel 1930 dalle Gallerie fiorentine, è un deposito statale, come del resto molte delle altre sculture di Bartolini esposte all’ultimo piano del museo: la ricca gipsoteca bartoliniana infatti è conservata presso la Galleria dell’Accademia, ed è stata oggetto di un recentissimo riallestimento.