Dopo la Grande Guerra furono molti, e in diversi paesi, gli artisti che abbandonarono le sperimentazioni formali delle avanguardie storiche, dal futurismo all’espressionismo e al cubismo, per tentare una rifondazione dell’arte, attraverso strade diverse. Alcuni, come Carrà, Derain o lo stesso Soffici, puntarono sul recupero di tradizioni arcaiche e della effettiva qualità dell’arte. Quel “ritorno all’ordine” che è stato interpretato negativamente come una chiusura, come un isolarsi nel tempo e nello spazio, mirava in realtà, come appare in un noto articolo di De Chirico del 1919, a un “ritorno al mestiere”, ai valori di un’arte di effettiva qualità. Per Soffici la qualità della materia pittorica fu una costante, dai primi del Novecento alla morte; egli accettò consapevolmente il rischio che le opere prodotte nella sua tranquilla abitazione a Poggio a Caiano venissero viste come un ripiegamento poco coraggioso su una sorta di provincialismo. Come scriveva a Carrà: «Non ammetto altro che la semplicità davanti alla natura che voglio studiare profondamente e rendere con onestà senza più ricordarmi di teorie e preconcetti intellettualistici di alcuna specie».
Cabine fornisce un bell’esempio della poetica dell’artista, nella pennellata sciolta, nell’accordata composizione tonale che richiama l’affresco antico, nella “pittura pura”. Un taccuino del 1926 testimonia i disegni fatti da Soffici sulla spiaggia in Versilia, dove insieme a Carrà dipinse ogni estate, fino agli ultimi anni.