Tratto dal Vangelo secondo Luca, il racconto del Buon Samaritano è una delle parabole più note: un giovane giudeo giace ferito ai margini di una strada, ignorato da molti, fin quando non viene soccorso da un viandante di origine samaritana – popolazione tradizionalmente considerata ‘impura’ dagli Ebrei. La scena in cui il samaritano, lontano da pregiudizi, mostra la sua compassione nei confronti dell’uomo ferito, riassume l’importante concetto evangelico dell’amore incondizionato verso il prossimo, a prescindere da fede, provenienza o rango sociale. Tale messaggio di speranza e carità è qui sottolineato in particolare dai toni del dipinto, dalle tinte lucide e brillanti, nonché dall’atteggiamento compassionevole dei personaggi.
Pittore sensibile e versatile, Malinconico dimostrò infatti all’apice della carriera una luminosità cromatica e un respiro compositivo impareggiabile, con una grande pulizia visiva che porta tutta l’attenzione sui due protagonisti: il personaggio ferito, disarmato nella sua nudità ed esibito, quasi in estasi, nella bellezza del corpo inerme; il samaritano, attento e premuroso, incorniciato nella lunga e folta barba, che suggerisce un clima mite e riflessivo. Al saggio guaritore il pittore conferisce un leggero dinamismo, evidente nei riflessi sfavillanti sul braccio che sta medicando, sulle cui tinte colorate è intervenuta l’ariosità della nuova pittura “atmosferica”, evidente pure nel paesaggio dall’atmosfera rarefatta, eco della stagione pittorica napoletana inaugurata da Luca Giordano al suo rientro da Madrid nel 1702.
Questa tela si trova a Prato almeno dal XIX secolo: era di proprietà della famiglia Martini, come attestano vari documenti, passò poi nel 1873 per ragioni testamentarie all’Ospedale della Misericordia e Dolce, fino ad arrivare nelle collezioni comunali nel 1897 insieme a un notevole gruppo di oltre cento opere.