Sigismondo Betti, formatosi con Antonio Puglieschi e soprattutto con Matteo Bonechi, dipinse per 43 scudi il San Nicola da Tolentino resuscita le starne, firmato e datato, illustrando secondo un’antica tradizione un episodio della vita di San Nicola. Il santo praticava la più rigorosa astinenza dalle carni come forma di penitenza, ma a seguito di una lunga malattia i superiori gli imposero per obbedienza di cibarsene, preparando per lui carni delicate: due starne arrostite. Nicola, che non voleva mangiarle, ma neppure disobbedire, tracciò sul piatto un segno di croce e resuscitò gli uccelli, che volarono via. Nello stesso salone del museo esiste un’altra versione di Mario Balassi del San Nicola da Tolentino resuscita le starne.
In questa prima opera nota del giovane Sigismondo Betti sono evidenti gli influssi del suo maestro Matteo Bonechi nella rapida stesura a macchia del colore e negli effetti luministici ricchi di contrasti, con una gamma cromatica brillante, mentre sembra rimandare al Puglieschi la composizione equilibrata, resa però più dinamica dai giochi di luce, che creano un moto ascendente verso l’apparizione della Vergine.
Dal monastero agostiniano di San Matteo, che si trovava tra via Convenevole e via della Stufa e fu soppresso nel 1786, provengono diverse opere esposte nel museo, fra cui proprio in questa sala è l’Annunciazione di Domenico Ferretti.