Modello per Monumento a Nicola Demidoff Il prezioso modellino qui esposto in una teca è il primo bozzetto in marmo che Lorenzo Bartolini realizzò, dopo numerosi studi grafici, per il grande monumento funebre in onore del nobile mecenate russo Nicolaij Demidoff, morto nel 1828. Quest’opera, commissionata dai suoi figli Paolo e Anatolij già nel 1830, ebbe una storia molto travagliata, si protrasse cioè a lungo nel tempo divenendo un’impresa davvero impegnativa nella carriera dello scultore, che vi lavorò fino alla morte lasciandola peraltro incompiuta. Il bozzetto eseguito in alabastro, marmo bianco e rosato, ha struttura piramidale e sono presenti le scritte dedicatorie: “NICOLAS DEMIDOFF / OFFERT PAR L’AUTEUR LE I JANVIER 1837”, e lo stemma dei Demidoff. Sulla sommità, Nicolaij Demidoff, seduto, abbraccia il figlio Anatolij, giovanetto in piedi accanto a lui. A destra, è inginocchiata una donna, l’allegoria della Riconoscenza – il cui gesso preparatorio è pure esposto al terzo piano del museo. In basso, invece, nei quattro angoli del basamento, quattro figure allegoriche impersonano le virtù benefiche del nobile: la Siberia, nei panni di una donna che stringe nella mano sinistra il martello del minatori e con l’altra sostiene Plutone bambino, ricorda la ricchezza proveniente dagli scavi delle miniere; la Misericordia, che sorregge un ragazzo moribondo e copre una fanciulla col suo mantello, allusione alla generosità della famiglia Demidoff nei confronti dei bisognosi; la Verità che si svela all'arte, simbolo della protezione offerta alle arti figurative; la Musa dei piaceri, in ricordo dei numerosi banchetti elargiti dal principe. Il monumento funebre fu completato nel 1871 da Pasquale Romanelli, allievo di Lorenzo Bartolini, e collocato sul Lungarno Serristori, in piazza Demidoff. Esiste un’altra versione leggermente più grande di questo modello, realizzata in marmo di Carrara, che è datata 1840 ed è conservata a Firenze a Palazzo Pitti. L’opera qui esposta invece rimase di proprietà Demidoff fino al 1933, quando passò ai fratelli Pucci e da questi fu acquistato dal Comune di Prato per arricchire le collezioni della città.