Tobiolo e l'angelo Questa bella tavola dipinta dalla forma centinata, ovvero, con la parte superiore semicircolare, apre la sezione dedicata all’esposizione delle grandi pale d’altare tra il XVI e il XVIII secolo. Francesco Morandini detto il Poppi dipinse questa storia tratta dal Vecchio Testamento, riprendendo un soggetto molto in voga nel Cinquecento per una compagnia pratese intitolata proprio all’Arcangelo Raffaele, tra il 1572 e il 1573. A sinistra, l’Arcangelo Raffaele osserva premuroso il giovane Tobiolo, sulla destra, e lo tiene per mano per condurlo sulla via di ritorno verso casa. Secondo il racconto biblico, l’anziano e cieco Tobia si era affidato all’Arcangelo perché accompagnasse il figlio Tobiolo lungo un lontano cammino per riscuotere dei denari. Il ragazzo, ricciuto, guarda con tenerezza verso lo spettatore e stringe fiducioso la mano del suo accompagnatore. Ammirato da un cagnolino, simbolo di fedeltà, l’arcangelo tende in avanti un vaso contenente la miracolosa bile che potrà guarire dalla cecità il padre di Tobiolo, mentre quest’ultimo afferra il pesce da cui quelle viscere sono state estratte. Il giovane è abbigliato in maniera elegante, con una veste corta, un mantello blu e alti calzari. L’Arcangelo indossa un abito dai colori blu, rosso e oro, caratterizzato da ricchi ornamenti e ricami in perle. Gli accostamenti cromatici sono sofisticati ed esaltano la sinuosità dei corpi, quasi danzanti. Quest’opera fu realizzata nel momento più felice della carriera di Francesco Morandini, cioè dopo la decorazione del famoso Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio a Firenze, dietro la regia di Giorgio Vasari e in collaborazione con i pittori cosiddetti “manieristi”. Anche in quest’opera troviamo una sintesi del manierismo fiorentino nelle pose leggiadre e nelle vesti sbuffanti di Andrea del Sarto, nelle cromie acide di Pontormo e nelle chiome vibranti peculiari di Rosso Fiorentino.