Millenovecentodiciannove (Il reduce) Questo dipinto di Ardengo Soffici introduce alla sezione dedicata alla Scuola di Prato, di cui l’artista fu indiscusso padre putativo, segnando il nuovo stile “toscano” dei decenni successivi. Fu realizzato tra il 1929 e il 1930 come a dare voce ai tanti soldati italiani sopravvissuti alle trincee della Prima Guerra Mondiale. In questa tela occupa quasi l’intero spazio una figura maschile anziana oppure invecchiata dal tempo e dalla fatica: un reduce del primo conflitto mondiale. L'uomo, di profilo, con addosso un mantello militare corto e pantaloni neri logori, si trascina per strada a piedi nudi, simbolo di un disorientamento che senz'altro avrà colto i sopravvissuti alla trincea. Il suolo è di un blu irrealistico e lo sfondo rosso scuro, quasi come a voler insistere sull’alienazione dell’uomo. Il tutto è reso attraverso una pittura densa e corposa, il che si accorda alla rappresentazione del dramma dei reduci di guerra, che, in quanto sopravvissuti, portano con sé un pesante carico di dolore e il disagio per il difficile reinserimento nella vita civile. Gli anni fra il 1929 e il 1930, a cui risale il dipinto, sono dedicati da Soffici allo studio della materia pittorica dell'affresco, memore delle pitture murali di Masaccio nella Cappella Brancacci al Carmine di Firenze. Proprio da Masaccio sembra trarre origine il realismo drammatico con cui Soffici tratteggia la figura dolente del reduce.