Madre e Figlio II Fra le opere più cariche di pathos del lituano Jacques Lipchitz, troviamo la scultura Madre e Figlio II, realizzata dall’artista subito dopo il suo arrivo a New York nel 1941, quando a causa delle sue origini ebraiche fuggì dalla Francia occupata dalle truppe naziste. L’opera raffigura una donna nuda priva degli arti inferiori e delle mani, con il figlio avvinghiato al collo, la testa sollevata in un grido disperato, le braccia spalancate verso il cielo. Il suo aspetto non ha fattezze del tutto realistiche: le braccia, per esempio, sono più grandi rispetto al resto del corpo; appaiono marcate le narici e le labbra sul suo volto, che però è privo di altri dettagli. Del viso del figlio, aggrappato a lei, non si distinguono nemmeno i tratti somatici. Questa scultura così drammatica costituisce una denuncia nei confronti degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, anche se la sua ideazione originaria prende avvio da un episodio vissuto dall’artista diversi anni prima. Esiste, infatti, un primo disegno risalente alla fine degli anni Trenta, riconducibile, a quanto riferì Lipchitz, a un fatto avvenuto in una stazione ferroviaria di Mosca nel 1935: in una notte scura e piovosa, lo scultore udì il lamento di una cantilena, e cercandone la provenienza si trovò davanti una mendicante senza gambe, su un carretto, che cantava una malinconica canzone, i lunghi capelli sciolti e le braccia tese.