Sala 13
Oggi la sala ospita 49 opere, parte dell’importante Fondo Arrigo del Rigo, composto da più di 450 pezzi e donato da Giovacchino, padre del pittore, all’Azienda Autonoma di Turismo alla fine degli anni Settanta, passato alla Provincia di Prato nel 2011 e da questa al Comune nel 2016.
La visione d’insieme di questo nucleo di dipinti di Arrigo del Rigo consente di approfondire il percorso artistico del pittore, scomparso tragicamente a soli ventiquattro anni. La morte prematura di Del Rigo colpì molto anche Ardengo Soffici, che nel 1939 sottolineò quanto tale drammatica circostanza avesse privato “l’arte italiana di una luminosa speranza”.
Le opere qui esposte offrono ritratti, nature morte, paesaggi dove si intuisce l’intima partecipazione alla vita autentica, sia essa vissuta nella piazza del Mercatale che in uno scorcio di campagna; ma anche scene di vita, in cui l’osservazione divertita della realtà fa emergere una tenera ironia, che non sfocia mai nel grottesco, animata, di fondo, da una velata poesia.
Il Comune di Prato possiede la collezione più imponente di opere dell’artista: già nel 1963 ha acquistato dalla famiglia Del Rigo più di 200 tra disegni, acquerelli, litografie e xilografie, nel 1991 ha ricevuto con legato testamentario di Gino Brogi un dipinto e un disegno e nel 1996 dall'Università Popolare di Prato l’Autoritratto del 1927, esposto nel Museo di Palazzo Pretorio. Le opere visibili in questa sala rappresentano la più recente acquisizione.
Arrigo Del Rigo Arrigo Del Rigo
Arrigo del Rigo nasce a Prato il 14 giugno 1908.
Nel 1920 la famiglia si trasferisce a Corfù, dove rimane sicuramente fino al 1921. Sono di questo periodo le sue prime pitture di paesaggio che rivelano un’acerba sensibilità e una precoce passione per l’arte.
Al rientro in Toscana, dopo aver soggiornato brevemente a Venezia, si iscrive all’Istituto d’Arte di Porta Romana, dove il pittore Giovanni Costetti “lo educa al gusto dell’impasto liquido e dell’asciutta, quasi secca fattura” (Parronchi, 1956). Gli anni dal 1922 al 1925 sono quelli di rigorosa formazione, insieme a compagni di talento come Giorgio Romani e più tardi Bruno Becchi e Mario Maestrelli. In questo periodo si cimenta in paesaggi, dall’accento quasi sognante, avvolti in una luce ovattata e intima (Sant’Anna, 1925). L’attenzione verso la figura umana diventa sempre più presente nella sua opera; comincia a emergere in alcuni ritratti, come La cugina, 1926 e La madre, 1927, un forte coinvolgimento psicologico, risolto all’interno di un autentico realismo toscano.
Sarà l’amicizia con Ardengo Soffici, che conosce nel 1927, a rinforzare l’insegnamento artistico della scuola e a segnarne la nascita come artista. Secondo Parronchi, Soffici gli avrebbe aperto la strada verso la “monumentalità” dei ritratti dei familiari, come Il nonno, 1927, e la “infinitesima costruttività” delle nature morte.
Gli stessi valori plastici sono presenti in alcuni paesaggi dello stesso periodo, come La casa rossa, 1927.
Il 1927 segna la collaborazione di Del Rigo con “Il Selvaggio” di Mino Maccari con un disegno, seguito nel 1928 da cinque disegni e incisioni: d’ora in poi sono molteplici le occasioni d’ispirazione artistica per Del Rigo, che rivela un interesse non del tutto scontato per episodi di vita quotidiana, che esalta attraverso la ritualità dei piccoli gesti e la narrazione bonaria. In alcune opere affiora l’attenzione verso l’esistenza umana, che egli valuta con accenti di tenerezza e partecipazione, senza malignità o risentimento, filtrata attraverso gli occhi di un poeta.
Dall’aprile del 1929 il pittore presta servizio militare nel I Reggimento Granatieri di base a Roma, Riofreddo e Parma: è un periodo sereno, in cui non mancano le soddisfazioni anche sul lavoro. Lui stesso in una lettera da Parma del 17 settembre del 1929 ne parla con toni entusiastici: “Devo fare delle decorazioni per la casa del Granatiere con degli stemmi, figure e fregi. Un lavoro di soddisfazione… Si sta come papi. La città è simpatica e calma; mi ricorda anzi per questo lato la mia città di Prato dalle costruzioni semplici e serie, le piazze vaste e un fiume sassoso come il Bisenzio”.
Al ritorno a Prato trova invece un clima di contrarietà e ostilità politica. Nel marzo del 1931 viene accusato di attività sovversiva e incarcerato per pochi mesi. Insieme a lui alcuni amici - Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Dino Fiorelli - che si ritrovavano dal sarto Zola Settesoldi per parlare d’arte e di politica.
Da quando viene liberato fino alla morte non è più sereno come un tempo: i sospetti del regime e la preoccupazione per un futuro instabile e incerto logorano intimamente il giovane pittore, che continua a lavorare forse con una consapevolezza maggiore, che sfocia nell’inquietudine, vedi Ritratto del padre, 1931-32. La fine, inaspettata, giunge il 26 febbraio del 1932.
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Ultimo aggiornamento: 17 dicembre 2024, 10:55